DACHAU 1933-1945  ARBEIT MACHT FREI

Testo di Manuela Arrigoni

Fotografie di Andrea Severi

DACHAU 1933-1945  ARBEIT MACHT FREI

Si aprì il cancello ed iniziò il cammino verso l’infinito limite dell'uomo.

Lo spazio era una strada che avanzava spezzata, grigia come la nuvola che si sarebbe abbattuta sui tetti delle case dell’intero mondo.

Una strada che separava assemblate assi numerate...2...16...sequenza di case-baracca delle quali restano solo i sassi che hanno sostenuto la base; numerazione parallela, strada parallela, paesaggio dannatamente omologato nell’ombra e nella desolazione.

Il guardiano senza esitazione  vegliava i corpi affinché non raggiungessero l’ossigeno al di là del filo spinato. Eppure anche lì e nonostante,  le foglie respiravano, si nutrivano dall’alto, per inviare al mondo la speranza della luce, di nuovo.

Gli alberi c'erano.

Il lager era un inferno organizzato a che tutto venisse soffocato ed estirpato. L’obiettivo non era la morte semplice e pura, ma la spersonalizzazione, l’avvilimento e la riduzione a “verme”, prima non si schiacciava.

Tra il letto e la sala...un balzo!

Corpi stipati al freddo, in stretti rettangoli di legno eretti a giaciglio, esseri sporgenti negli occhi e nelle ossa con lacerazioni di pelle e di cuore.

Rammendi di identità perduta su logora stoffa a righe.

Numeri finiti nel caos, all’apparenza dimenticati dall’Universo. Sono questi i capolavori “dell’ego” che niente ancora è riuscito a superare. Capolavori che hanno trasformato milioni di uomini in cenere e fumo.

Ancora i vetri riflettono gli sguardi di quei poveri “cani” bastonati e tenuti a catena, da cui occhi scendeva come lacrima il sangue che avrebbe segnato per sempre la storia.

Intrecci di follia delimitati da nodi di filo spinato.

Avremo per sempre il coraggio di ricordare?

È indispensabile, dobbiamo fare memoria affinché non abbia a ripetersi ciò che è già accaduto.

Non esiste peggior nemico, per l’uomo, dell’uomo che allontana la connessione tra la mente e il cuore. La volontà si piega al potere e muore la radice del Creato, si spegne ogni scintilla che genera la Vita e la dignità dell’essere umano.

Ma sempre vince l’amore: nel tempo che fu, in mezzo al fumo di morte, si generò la speranza che diede forza alle Nazioni, portando la libertà in dono.

Ciò che resta dentro a quelle mura che gridano ancora è il ricordo del dolore misto alla preghiera.

 

27/01/2016

Testo di Manuela Arrigoni

Fotografie di Andrea Severi